A.A.A. TURISTA DA SPENNARE IN EGITTO CERCASI

A.A.A. TURISTA DA SPENNARE IN EGITTO CERCASI
Avviso importante a tutte le turiste in partenza per l'Egitto: A.A.A.: IN MAR ROSSO RICORDATI DI FARE ATTENZIONE A NON PESTARE IL CORALLO, A NON ENTRARE NELLE MOSCHEE A CAPO SCOPERTO E A BRACCIA E GAMBE IGNUDE E AGLI SHARMUTE - sharmute: gigolò, che si fa mantenere dalle donne. ( Ci spiace, ma nessun risultato "PROSTITUTO" è stato trovato nel VOCABOLARIO ITALIANO).

giovedì 29 gennaio 2009

PARHELION


04- 01 -07 SssssStsssunset
(Io e A. nella jeep/ nei pressi della rotonda/ prima dell’ospedale a El Gouna Red Sea Egypt/ mentre condividiamo un cielo in piume)


Perdi il contatto

Interruzione

Rilasssssati

Siamo ancorate al North Africa adesso

sotto questi sterminati soffitti di fragole shocking

perdi il contatto
interrompi

Spalanca la mano destra

La sinistra ora

Intrufola
Nascondi
E
Perdi
tutte le tue dita antidogmatiche e fortunate
tra le piccole piume rosa fulgido di questo palco
che ti ha lanciato generoso stasera
i suoi scialli di struzzo
E scompigliale un po’
O lisciale se ti paiono troppo arricciate

Infila il tuo braccio del cuore
È il più stanco
Dentro quel buco turchese d’ossigeno puro
fra le tiepide piume
di lunghi colli di cicogne migranti

Uno straccio di rainbow
ride
impazzito ma fermo
anch’esso
Voile
lì in basso a sinistra
sotto il sole che va tramontando
dove sta per arrivare
presta
Sirio

Raccoglilo con due dita
e indossalo al collo



Siamo protette dentro i velli di Allah

che ieri ti ha fermato e abbagliato
sott’un sole che rifletteva divine qualità
dentro immani cerchi iridati perfetti

Che stanotte ti ha fermato d’incanto
sotto arcobaleni lunari
Mentre
in interno
grandi candelabri rischiaravano discreti
le cupole rosse deserte

Rilassati
Siamo ancorate al North Africa

Copriti le spalle
Lasciati andare

Sotto di noi
i materassi sono solidi e i letti non cigolano

Rilassati in questo silenzio a bocce ferme

Rilassati
E

Voltati
è già lì la grossa luna di crema gialla
tra soffi voluttuosi di nuvole nere

Rilassati
Stiamo ruotando
Ancorate al North Africa.


(Clara Caverzan Terrecotte & Samovar)





sabato 17 gennaio 2009

hamas pietas!


Hamas
Da Wikipedia


Hamas
حركة المقاومة الاسلامية

Leader
Khaled Meshaal,Ismail Haniyeh,Mahmud al-Zahar
Fondazione
1987
Dissoluzione
Sede principale
Ideologia
Nazionalismo palestinese,Islamismo sunnita
Posizione
Gaza
Affiliazione internazionale
Testata
Organizzazione giovanile
Iscritti
sconosciuti
Sito web
http://www.palestine-info.com/
http://www.filistinetkinlik.com/ http://www.hamasonline.net/

Bandiera di Hamas
Ḥamās, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (in arabo: حركة المقاومة الاسلامية, "Movimento di Resistenza Islamico", ovvero حماس, "entusiasmo, zelo") è un'organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico, che attualmente detiene la maggioranza dei seggi dell'Autorità Nazionale Palestinese.[1]
Fondata dallo Shaykh Ahmad Yasin, Abd al-Aziz al-Rantissi e Mohammad Taha nel 1987 come appendice dei Fratelli Musulmani nella creazione di uno Stato islamico in Palestina effettuava inizialmente attentati suicidi contro civili ed esercito israeliano[2]. Hamas gestisce anche ampi programmi sociali, e ha guadagnato popolarità nella società palestinese con l'istituzione di ospedali, sistemi di istruzione, biblioteche e altri servizi in tutta la Cisgiordania e Striscia di Gaza.[3]
Lo Statuto di Hamas richiede la distruzione delle Stato di Israele e la sua sostituzione con un Stato islamico palestinese nella zona che ora è Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. La stessa carta dichiara che "Non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel jihad" [4] [5]
L'ala politica di Hamas ha vinto numerose elezioni amministrative locali in Gaza, Qalqilya, e Nablus. Nel gennaio 2006, Hamas con una vittoria a sorpresa alle elezioni parlamentari palestinesi, ottenne 76 dei 132 seggi della camera, mentre al-Fatah ne ottenne solo 43.[6]
A seguito della Battaglia di Gaza (2007) i funzionari eletti di Hamas sono stati eliminati fisicamente o allontanati dalle loro posizioni dall'Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania, e i loro posti sono stati sostituiti dai rivali di Fatah e da membri indipendenti; molti palestinesi e altri esperti considerano questa mossa illegale.[7][8] Il 18 giugno 2007, il Presidente palestinese Mahmoud Abbas (Fatah) ha emesso un decreto che mette fuorilegge le milizie di Hamas.[9]
Hamas è elencata tra le organizzazioni terroristiche dal Canada,[10]Unione Europea,[11][12][13][14] Israele,[15] Giappone,[16] e Stati Uniti,[17] e è bandita dalla Giordania.[18] Australia[19] e Regno Unito[20] elencano solo l'ala militare di Hamas, le Brigate Izz ad-Din al-Qassam, come organizzazione terroristica. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno effettuato misure contro Hamas a livello internazionale.[11][21]
Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti il gruppo ottiene finanziamenti da Arabia Saudita, Iran, espatriati palestinesi e benefattori privati.[17]
Indice[nascondi]
1 Nomi
2 Ideologia
3 Storia
3.1 Gennaio 2006 - La vittoria nelle elezioni legislative
4 Attività
5 Azioni legali contro Hamās
6 Struttura
6.1 Posizioni riguardo Israele
7 Personalità di Hamās
8 Note
9 Voci correlate
10 Collegamenti esterni
11 Altri progetti
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Nomi [modifica]
Esistono dei dubbi sul reale significato della parola Hamas. Hamas è un acronimo di della frase in arabo: حركة المقاومة الاسلامية ovvero Harakat al-Muqāwama al-Islāmiyya: "Movimento di Resistenza Islamico". Ma in arabo la parola "Hamās" si traduce anche con "entusiasmo, zelo, o spirito combattente".[22]
L'ala militare di Hamas, nata nel 1992, prende il nome di Brigate Ezzedin al-Qassam per commemorare lo Shaykh ʿIzz al-Dīn al-Qassām', il padre della moderna resistenza araba, ucciso dai britannici nel 1935.
Altre volte gli armati di Hamas si definiscono Studenti di Ayāsh, Studenti dell'Ingegnere, Unità Yaḥyà Ayāsh per commemorare Yahya Ayash, l'ingegnere degli esplosivi responsabile per la morte di più di 50 israeliani e ucciso nel 1996.

Ideologia [modifica]
La carta costitutiva di Hamās, scritta nel 1988, dichiara che il suo obiettivo è di "sollevare la bandiera di Allah sopra ogni pollice della Palestina", cioè di eliminare lo Stato di Israele e sostituirlo con una repubblica islamica. Questo rende Hamās del tutto diversa rispetto ai movimenti cosiddetti integralistici musulmani che propugnano la lotta in tutto il mondo islamico: Hamās limita rigidamente infatti, per statuto, la sua attività di lotta alla sola Palestina.
La carta cita una serie di teorie cospiratorie antisioniste; essa dichiara che i Protocolli dei savi di Sion sono autentici, e che la massoneria, il Lions Club e il Rotary "lavorano nell'interesse del Sionismo" segretamente. I membri di Ḥamās inoltre dichiarano che il popolo ebraico è collettivamente responsabile della Rivoluzione francese, del "colonialismo occidentale", del comunismo e di entrambe le guerre mondiali.
I massimi leader di Hamās sono promotori della negazione dell'Olocausto. Secondo il MEMRI, 'Abd al-'Azīz al-Rantīsī - co-fondatore di Hamas assieme ad Ahmed Yassin - in un articolo su Al-Ristala (pubblicazione settimanale di Hamas) avrebbe definito la Shoah "il falso olocausto" e "la più grande delle menzogne", ed affermato che l'Olocausto non è mai avvenuto, che i sionisti erano dietro le azioni dei nazisti e che il sionismo finanziò il nazismo. In questo articolo Rantissi avrebbe altresì negato l'esistenza delle camere a gas nonché espresso sostegno ai negazionisti Roger Garaudy, David Irving, Gerd Honsik e Fredrick Töben; avrebbe inoltre affermato che "i nazisti ricevettero notevoli aiuti finanziari dalle banche e dai monopoli sionisti, e ciò contribuì alla loro ascesa al potere"; avrebbe infine accusato la investment bank berlinese Mendelssohn & Co., di proprietà ebraica, di aver finanziato i nazisti, definendola "banca sionista"[23].

Storia [modifica]
Ḥamās fu finanziata direttamente e indirettamente durante gli anni '70 e '80 da vari Stati, ad esempio Arabia Saudita e Siria. A quel tempo, il braccio politico-caritatevole di Hamās era ufficialmente registrato e riconosciuto in Israele; fu Menachem Begin, appena eletto Primo Ministro per il partito Likud nel 1977, a spezzare la fiala che conteneva il cattivo genio: dando l'assenso alla regolare registrazione in Israele della «al-Mujamma‘ al-Islāmī» (Associazione Islamica), movimento collegato ai Fratelli Musulmani e fondato dalla sceicco Aḥmad Yāsīn. Molti esperti concordano che sebbene Israele non abbia mai sostenuto direttamente Ḥamās, le permise di esistere per opporsi al movimento laico al-Fath di Yasser Arafat. Citiamo per tutti, Tony Cordesman, l'analista per il Medio Oriente del Center for Strategic Studies : Israele «ha aiutato Hamas in modo diretto e indiretto per usarla come antagonista dell'OLP» [24]. Il gruppo si astenne dalla politica durante gli anni '70 e i primi anni '80, concentrandosi su problemi morali e sociali come attacchi alla corruzione, l'amministrazione degli awqāf (fondazioni pie) e organizzando progetti comunitari. Verso la metà degli anni '80, tuttavia, il movimento fu sottoposto alla scalata del bellicoso shaykh cieco Ahmad Yāsīn. Egli cominciò a predicare la violenza immediata, e per questo motivo venne arrestato da Israele; fu rilasciato quando promise di fermare la predicazione, e sotto questa premessa lo Stato ebraico permise a Ḥamās di continuare le sue attività.
L'acronimo "Ḥamās" apparve per la prima volta nel 1987 in un volantino che accusava i servizi segreti israeliani di minare la fibra morale dei giovani palestinesi per poterli reclutare come collaborazionisti. L'uso della forza da parte di Ḥamās apparve quasi contemporaneamente alla prima Intifāda, iniziando con "azioni punitive contro i collaborazionisti", progredendo verso obiettivi militari israeliani ed infine con azioni terroristiche che prendevano di mira i civili. Così come i suoi metodi sono cambiati negli ultimi tredici anni, è cambiata anche la sua retorica, che adesso afferma che i civili israeliani sono "bersagli militari" in virtu del fatto di vivere in uno Stato altamente militarizzato in cui vige la coscrizione.

Manifestazione a favore di Hamas a Betlemme
In accordo con la bibliografia semi-ufficiale di Ḥamās Truth and existence, l'organizzazione si è evoluta attraverso quattro fasi principali:
1967-1976: Costituzione dei Fratelli Musulmani nella Striscia di Gaza di fronte all'"oppressivo" dominio israeliano.
1976-1981: Espansione geografica tramite partecipazione o in alcuni casi fondazione di associazioni professionali nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania: segnatamente al-Mujamma` al-islāmī, al-Jam`iyya al-islāmiyya, e l'Università Islamica di Gaza.
1981-1987: Ḥamās esercita una certa influenza politica attraverso la fondazione di meccanismi di azione e di preparazione alla lotta armata.
1987: Fondazione di Hamas come braccio combattente dei Fratelli Musulmani in Palestina ed il lancio di un continuo jihad.
Molti esperti concordano che la "vera" storia di Ḥamās inizia solo nel momento della scalata al potere a metà degli anni '80: loro opinione è che prima fosse una organizzazione con una visione politica estremamente limitata.
Mentre questo riflette le attività di Ḥamās nella Striscia di Gaza, i loro colleghi in Cisgiordania ebbero uno sviluppo molto differente, all'inizio con meno enfasi nella creazione o nel controllo di istituzioni pubbliche. Il movimento dei Fratelli Musulmani in Cisgiordania costituì una parte integrante del movimento islamico giordano, che per molti anni è stato allineato con il regime hashemita. Inoltre, i Fratelli Musulmani in Cisgiordania aveva un profilo socio-economico più elevato - commercianti, proprietari terrieri, burocrati e professionisti della borghesia. Entro la metà degli anni '80, i Fratelli Musulmani controllava una significativa parte delle posizioni nelle istituzioni religiose della Cisgiordania.
Il 26 gennaio 2004, uno dei capi di Hamas Abd al-Aziz al-Rantissi offrì una tregua ( hudna) di 10 anni, in cambio del totale ritiro da parte di Israele dei territori conquistati durante la Guerra dei sei giorni e l'istituzione di uno stato palestinese, offerta ripetuta dopo la vittoria alle elezioni legislative del 2006, accettando l'iniziativa di pace araba del 2002. Il capo di Hamas Ahmad Yasin affermò che il gruppo avrebbe accettato uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. Rantissi ammise che "allo stato attuale delle cose, sarebbe stato difficile liberare tutta la nostra nazione, pertanto accettiamo una liberazione in fasi."

Gennaio 2006 - La vittoria nelle elezioni legislative [modifica]
Il 25 gennaio 2006, nonostante tutti i sondaggi lasciassero intendere diversamente,[senza fonte] Ḥamās ha vinto con una larga maggioranza le elezioni legislative.
A seguito della vittoria grande preoccupazione si è levata nel mondo occidentale a causa della natura del movimento, da molti ritenuta terroristica. L'Unione Europea ha vincolato la prosecuzione del sostegno all'Autorità Nazionale Palestinese a Tre princìpi, definite dalla comunità internazionale:
Ḥamās deve rinunciare alla lotta armata;
Ḥamās deve riconoscere il diritto di Israele ad esistere;
Ḥamās deve appoggiare chiaramente il processo di pace nel Vicino Oriente, come deciso in base agli Accordi di Oslo.
A capo del governo palestinese siede per la prima volta un leader di Ḥamās, Ismail Hanyeh. Attualmente a seguito di una serie di scontri con l'organizzazione rivale Al Fatah, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza.
D'altra parte va precisato che quella parte della popolazione palestinese che ha partecipato alle elezioni si trova esclusivamente nei cosiddetti "territori occupati" (Striscia di Gaza e Cisgiordania). La maggioranza dei palestinesi[senza fonte], residente dal 1948 in poi negli svariati campi profughi al di fuori della Palestina, non risiedendo nei territori occupati, non ha diritto di voto né per le elezioni palestinesi, né per quelle degli Stati in cui i palestinesi risiedono sotto lo status di rifugiato politico.

Attività [modifica]
I miliziani di Hamās, specialmente quelli delle Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām, hanno sferrato numerosi attacchi tra cui alcuni attacchi suicidi di larga scala contro obiettivi civili israeliani. Per citare i più noti: il massacro di Pesach nel marzo del 2002, in cui 30 persone furono uccise a Netanya; il massacro sull'autobus numero 20 di Gerusalemme nel novembre dello stesso anno 2002 (11 morti); il massacro sull'autobus numero 2 di Gerusalemme nell'agosto del 2003 (23 morti); l'attacco alla città di Be'er Sheva nell'agosto del 2004, (15 morti). L'ultimo attacco fu dell'agosto del 2005 che fece 7 feriti, dopodiché Hamas rispettò la tregua offerta nel 2004 (hudna). Hamās ha anche usato donne-bomba, per esempio una madre di sei figli e una di due minori di 10 anni. Al contrario di al-Fath, a tutt'oggi Hamās non ha usato bambini-bomba.
Ḥamās ha anche attaccato obiettivi militari israeliani, uomini palestinesi sospettati di collaborazionismo nonché rivali di al-Fatḥ.
In tempi recenti, Ḥamās ha fatto uso di razzi di tipo "Qassām" per attaccare città israeliane nel deserto del Negev, ad esempio Sderot. La nascita dei razzi "Qassām-2" ha dato la possibilità all'organizzazione di attaccare anche grandi città israeliane quali Ashkelon; ciò ha prodotto enorme preoccupazione nella popolazione israeliana e diversi tentativi da parte dell'esercito israeliano di fermare la proliferazione e l'uso di tali razzi, anche se il numero di vittime è stato molto ridotto (circa 20 in una decina di anni[25]).
Oltre alle attività militari e terroristiche, occorre dire che Ḥamās promuove diversi programmi di previdenza sociale e istruzione. Dall'esterno, tali programmi sono considerati o come parte di una politica parastatale, o come esercizi per la propaganda e il reclutamento, o come entrambi. In ogni modo, queste attività sociali di Hamās sono profondamente radicate nella Striscia di Gaza. Includono istituti religiosi, medici e in generale aiuti sociali ai civili meno abbienti. Va specificato che il lavoro che Ḥamās compie in questi ambiti è un "in più" totalmente separato dall'assistenza umanitaria fornita dall'UNRWA (United Nations Relief Works Agency). Nel dicembre del 2001, il fondo caritatevole Holy Land Foundation for Relief and Development è stato accusato di finanziare Ḥamās.
Hamās può contare su un numero sconosciuto di fedelissimi e su decine di migliaia di simpatizzanti e aiutanti. Riceve soldi da esuli palestinesi, dall'Iran, da benefattori privati in Arabia Saudita e da diversi altri Stati arabi. Raccolte di fondi e campagne di propaganda pro-Ḥamās esistono anche in Europa, Nord America e Sud America. Analogamente al caso di Hezbollah, è ben noto che Ḥamās fa uso di spaccio di droga per raccogliere fondi necessari alle proprie operazioni[senza fonte].
Si ritiene che Ḥamās abbia decine di siti web; una lista aggiornata è consultabile presso l'Internet-Haganah ([1]). Il principale sito di Ḥamās fornisce traduzioni di comunicati ufficiali e propaganda in svariate lingue: persiano, urdu, malese, russo, inglese e naturalmente arabo.
Nella Striscia di Gaza, l'Autorità Nazionale Palestinese sta perdendo potere a beneficio di Ḥamās, in particolar modo nel campo profughi di Jabāliya, nelle sue vicinanze e a Dayr al-Balāh al centro della Striscia, ad Abasan e nella regione del Dahaniyeh nel sud.

Azioni legali contro Hamās [modifica]
Nel 2004, una corte federale negli Stati Uniti ha dichiarato Hamās colpevole in una causa civile riguardante l'omicidio nel 1996 di Yaron e Efrat Ungar vicino a Beit Shemesh, in Israele. A Ḥamās è stato ordinato di pagare alle famiglie degli Ungar 116 milioni di dollari. Al momento della stesura di questo paragrafo (aprile 2004), la Corte non ha ancora emesso sentenza circa la responsabilità dell'Autorità Nazionale Palestinese e dell'OLP nel fornire supporto logistico a Ḥamās.

Struttura [modifica]
La Carta del Movimento di Resistenza Islamico, ovvero il documento fondatore di Ḥamās, approvato nell’agosto del 1988. non definisce in modo particolare la struttura dell'organizzazione.La Guida suprema dentro Ḥamās, ha il ruolo di massima autorità politica e religiosa,che prende le decisioni più importanti.Le più alte istituzioni riconosciute di Ḥamās sono il Consiglio (Shura), e l’Ufficio Politico.La Shura, comprende una cinquantina di membri, ed è composta da figure di spicco del mondo religioso islamico presenti nel movimento.Con sede all'estero fuori dai confini della Palestina,per la precisione in Siria, rispondente esclusivamente alla Shurà e diviso al suo interno per competenze specifiche di settore, l'Ufficio Politico funge sostanzialmente da ministero dell'Informazione e degli Esteri.Poi c'è Da‘wa “La Chiamata”, una rete che gestisce l'attività di reclutamento, di assistenza sociale e di raccolta fondi all'estero.L’A‘lām, ente che gestisce le operazioni di propaganda, dell’informazione e dell’indottrinamento ideologico in Palestina.Questo ente civile possiede una stazione radio ed una televisione.

Posizioni riguardo Israele [modifica]
Nello statuto si afferma che la Palestina non potrà essere ceduta, anche per un solo pezzo poiché essa appartiene all'Islam fino al giorno del giudizio.
« Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un bene inalienabile (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio? Questa è la regola nella legge islamica (shari'a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio. (Articolo 11 dello statuto) »
Inoltre esprime un odio verso gli ebrei in quanto tali, derivato da alcune tradizioni attribuite a Maometto.
« [...]Il Profeta – le benedizioni e la salvezza di Allah siano su di Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei”. (Articolo 7) »

jihad


Jihad
Da Wikipedia


Jihad (ǧihād جهاد) è una parola araba che deriva dalla radice <"ǧ-h-d> che significa "esercitare il massimo sforzo" o "combattere". La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa. In quanto termine istituzionale si raccomanda di conservare il genere maschile, originario arabo (il jihād), anche alla luce del suo primario significato letterale di "sforzo" o "impegno". Ciò consentirà inoltre di rendere invece femminile la parola (la jihād) quando si voglia parlare di un'organizzazione militante, tradizionalista o terrorista che faccia uso appropriato o strumentale di questo termine, intendendolo chiaramente come "guerra santa".[1]
Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava alla Mecca, il jihād si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale. In seguito al trasferimento (Egira) dalla Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il Corano iniziò a incorporare la parola qitāl (combattimento o stato di guerra), e due degli ultimi versi rivelati su questo argomento (9:5, 29) suggeriscono, secondo studiosi classici come Ibn Kathīr, una continua guerra di conquista contro i nemici non credenti.Tra i seguaci dei movimenti liberali interni all'Islam, comunque, il contesto di questi versi è quello di una specifica "guerra in corso" e non una serie di precetti vincolanti per il fedele.Questi musulmani "liberali" tendono a promuovere una comprensione del jihād che rigetti l'identificazione del jihād con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto principi di non violenza. Tali musulmani citano la figura coranica di Abele a sostegno della credenza per cui chi muore in conseguenza del rifiuto di usare violenza può ottenere perdono dei peccati. Questa è comunque un'interpretazione scarsamente diffusa e nettamente minoritaria all'interno del mondo islamico.
Nonostante le interpretazioni posteriori di queste porzioni del Corano, i passaggi in questione sottolineavano chiaramente, all'epoca, l'importanza dell'autodifesa nella comunità musulmana.
I musulmani spesso si rifanno a due significati di jihād citando un hadīth riportato dall'Imām Bayhaqī e da al-Khatīb al-Baghdādī, benché il suo isnād (la catena di tradizioni che può ricondurre sino alle parole di Maometto) sia classificato come "debole":
"jihād minore (esteriore)" - uno sforzo militare, cioè una guerra legale
"jihād maggiore (interiore)" - lo sforzo per autoemendarsi, contrastando le pulsioni passionali dell'io
Altri esempi di azioni che potrebbero essere considerati jihād (sulla base di hadīth con migliore isnād) includono:
Parlare francamente contro un governante oppressivo ("Sunan" di Abū Dāwūd, libro 37, numero 4330)
Andare in Hajj (pellegrinaggio a Mecca) - per le donne, questa è la migliore forma di jihād ("Sahīh" di Bukhārī, volume 2, libro 26, numero 595).
Prendersi cura dei genitori anziani, come il profeta Maometto ordinò di fare a un giovane, invece di unirsi a una campagna militare (narrato da Bukhārī, Muslim, Abū Dāwūd al-Sijistānī, al-Tirmidhī e al-Nasā'ī).
Il significato più letterale di jihād è semplicemente "sforzo", e così è talvolta soprannominato il "jihād interiore". Questo "jihād interiore" si riferisce essenzialmente a tutti gli sforzi che un musulmano potrebbe affrontare aderendo alla religione. Per esempio, uno studio erudito dell'Islam è uno sforzo intellettuale cui qualcuno può fare riferimento come "jihād" , benché non sia comune per uno studioso dell'islam di fare riferimento ai suoi studi come "impegnarsi in un jihād". Inoltre, esiste una dimensione del "jihād" maggiore" che include motivi personali ineludibili, desideri, emozioni, e la tendenza a garantire il primato a piaceri e gratificazioni terrene.
La tradizione di identificare lo sforzo interiore come "jihād maggiore" (cioè, non militare) pare essere stato profondamente influenzato dal sufismo, un movimento mistico interno all'Islam antico e diversificato.Oggi, la parola jihād è tuttavia usata in numerosi circoli come se avesse una dimensione esclusivamente militare. Per quanto questa sia l'interpretazione più comune di jihād, è degno di nota che la parola non è usata strettamente in questo senso nel Corano, il testo sacro dell'Islam. È anche vero, tuttavia, che la parola è usata in numerosi hadīth sia in contesti militari che non militari.

1 Guerra nell'Islam
1.1 Jihād difensivo
1.2 Jihād offensivo
1.3 Chi può autorizzare il jihād offensivo?
1.4 Jihadisti contemporanei
1.5 Il trattamento dei prigionieri di guerra
1.6 Brani dal Corano sulla guerra
2 Bibliografia
3 Note
4 Voci correlate
5 Collegamenti esterni
5.1 Siti Neutrali
5.2 Siti islamici
5.3 Siti di ex musulmani
5.4 Siti non-islamici
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Guerra nell'Islam [modifica]

Jihād difensivo [modifica]
È importante distinguere tra due tipi di guerra religiosa armata nell'Islam, ovvero il jihād offensivo e il jihād difensivo. La maggioranza dei musulmani considera la lotta armata contro l'occupazione straniera o l'oppressione da parte di un governo interno degne di jihād difensivo. In effetti, sembra che il Corano richieda la difesa militare della comunità islamica assediata.
In epoca coloniale le popolazioni musulmane insorsero contro le autorità coloniali sotto la bandiera del jihād (gli esempi includono il Daghestan, la Cecenia, la rivolta indiana contro la Gran Bretagna (Moti indiani del 1857, altrimenti detti dai britannici Mutiny ) e la guerra d'indipendenza algerina contro la Francia). In questo senso, il jihād difensivo non è diverso dal diritto di resistenza armata contro l'occupazione, che è riconosciuto dall'ONU e dal diritto internazionale.
La tradizione islamica ritiene che quando i musulmani vengono attaccati diventi obbligatorio per tutti i musulmani difendersi dall'attacco, partecipare al jihād. Quando l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan nel 1979, l'eminente militante islamico 'Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām (che influenzò in modo determinante Ayman al-Zawāhirī e Usāma bin Lāden) emise una fatwa chiamata, Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge [3], dichiarando che tanto la lotta afghana quanto quella palestinese erano jihād nelle quali l'azione militare contro i kuffār (miscredenti) sarebbe stata fard 'ayn (obbligo personale) per tutti i musulmani. L'editto fu appoggiato dal Gran Mufti dell'Arabia Saudita, 'Abd al-'Azīz Bin Bazz. Nella fatwa, 'Azzām spiegò:
« ... gli 'Ulamā' [studiosi religiosi] dei quattro madhāhib [le scuole di giurisprudenza religiosa] (malikiti, hanafiti, sciafeiti e hanbaliti), i Muhaddithūn (studiosi dei hadīth e i commentatori del Corano (Mufassirūn, da Tafsīr, "esegesi") concordano che in tutte le epoche islamiche il jihād in queste condizioni diventa fard 'ayn (obbligo individuale) per i musulmani del luogo in cui gli infedeli hanno attaccato e per i musulmani più prossimi, per cui i fanciulli agiranno senza il permesso dei genitori, la moglie senza il permesso del marito e il debitore senza il permesso del creditore. E se i musulmani di questo luogo non sono in grado di espellere gli infedeli per mancanza di forze, perché sono distratti, perché sono indolenti o semplicemente non agiscono, allora il fard 'ayn si diffonde radialmente dai più vicini ai più prossimi. Se anch'essi si distraggono o, ancora, gli uomini scarseggiano, allora spetta marciare al popolo loro accanto, e al popolo successivo a quest'ultimo. Il processo continua finché diventi fard 'ayn per il mondo intero. »
('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwa Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge)
Benché tali editti di eruditi contemporanei possano influenzare alcune comunità di credenti, il miliardo e duecento milioni di musulmani odierni è così diversificato che l'azione unificata riguardo ad istruzioni come questa è, in pratica, impossibile da conseguire.
Tra gli obiettivi di alcuni gruppi che promuovono l'islamismo radicale (il cosiddetto fondamentalismo islamico) c'è il ristabilimento di un califfo con autorità politica e militare globale che realizzi (tra le altre cose) queste campagne militari in larga scala. La questione riguardo al se, quando e come realizzare una difesa militare di una comunità musulmana oppressa, resta una questione emozionale, su cui i musulmani restano divisi.

Jihād offensivo [modifica]
Il jihād offensivo è l'intraprendere guerra di aggressione e conquista contro non-musulmani al fine di sottomettere questi e i loro territori al dominio islamico. Secondo la Encylopedia of the Orient, "il jihād offensivo, cioè l'aggressione, è pienamente permesso dall'islam sunnita" [4]. Un teologo islamico considerato il padre del moderno movimento islamista, ʿAbd Allāh Yūsuf al-ʿAzzām, dichiarava nella fatwa "Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede":
« Il jihād contro gli infedeli è di due tipi: il jihād offensivo (dove il nemico è attaccato sul suo territorio) ... [e] il jihād difensivo. Questo consiste nell'espulsione degli infedeli dalla nostra terra, ed è fard 'ayn [obbligo religioso personale per ciascun musulmano], un dovere assolutamente obbligatorio... Laddove gli infedeli non si uniscono per combattere i musulmani, combattere diventa farḍ kifāya [obbligo religioso per la società musulmana] col requisito minimo di arruolare fedeli a guardia delle frontiere, e di inviare un esercito almeno una volta all'anno a terrorizzare i nemici di Allah. È dovere dell'Imam radunare e inviare un'unità dell'esercito nella Casa della guerra (Dar al-Harb [le terre non musulmane]) una o due volte all'anno. Inoltre, assisterlo è responsabilità della popolazione musulmana, e se egli non invia un esercito commette peccato. - E gli ulamā hanno ricordato che questo tipo di jihād serve a mantenere il pagamento della jizya [la tassa pro capite per i non musulmani]. Gli studiosi dei principi religiosi hanno detto inoltre: "Il jihād è da'wa [chiamata all'Islam] con l'uso della forza, ed è obbligatorio prestarlo con ogni potenzialità disponibile, finché rimarranno soltanto musulmani o gente che si sottomette all'Islam. »
('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwa Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede[2])
I musulmani che non aderiscono a questa interpretazione militante del jihād mettono in dubbio la necessità e l'obbligazione del jihād offensivo in epoca contemporanea. Essi argomentano che la tradizionale "Casa della guerra" riportata nella fatwa dello Sheykh al-'Azzām
« ...si riferisce ai regimi ostili e agli imperi che circondavano le prime comunità islamiche. Secondo questa interpretazione, il jihād offensivo era praticato solo al fine di preservare l'Islam dalla distruzione, ed è oggigiorno obsoleto. »
A sostegno di questo punto di vista, coloro che rigettano l'Islamismo militante tendono a opporsi all'affermazione secondo cui l'Islam nel suo complesso è oggetto di attacco ostile. Pur riconoscendo tanto le turbolenze politiche che le sofferenze, essi fanno notare che i pellegrini musulmani vanno e vengono a loro piacimento al pellegrinaggio annuale del Hajj, che la libertà religiosa dei musulmani di praticare la loro fede esiste in moltissimi paesi e che numerose comunità islamiche sono emerse in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Essi propendono a porre in risalto, inoltre, tradizioni islamiche a sostegno della tolleranza per altri gruppi religiosi e sociali.
Invece l'interpretazione militante del jihād è propensa a suggerire una visione del mondo in cui forze ostili anti-islamiche impediscono oggigiorno all'Islam di realizzare il suo pieno potenziale per un'espansione globale pacifica — una visione del mondo in cui l'Islam sarà alla fine adottato dall'intera umanità se queste forze ostili verranno affrontate socialmente e militarmente.
Questo stesso conflitto tra due punti di vista può essere visto come "lotta", o jihād, per l'anima dell'Islam contemporaneo.

Chi può autorizzare il jihād offensivo? [modifica]
L'interpretazione militante del jihād dello Shaykh al-ʿAzzām descrive il "jihād offensivo" come una campagna che può essere dichiarata solo da un'autorità musulmana legittima e legale, tradizionalmente il Califfo. Secondo questa interpretazione, nessuna autorità è richiesta per intraprendere il "jihād difensivo" — poiché, secondo questa opinione, quando i musulmani vengono attaccati, diventa automaticamente obbligatorio per tutti i maschi musulmani in età militare, entro un certo raggio dall'attacco, prendere le difese.
La questione di quale autorità musulmana, ammesso che ve ne sia, possa adempiere doveri come dichiarare il jihād è divenuta problematica da quando, il 3 marzo 1924, Kemal Atatürk abolì il califfato, che i sultani Ottomani detenevano dal 1517. In seguito alle strategie di divide et impera dell'ordine mondiale coloniale e postcoloniale, non esiste oggi un'unica autorità politica costituita che governi la maggioranza del mondo musulmano. A causa della mancanza di organizzazione ecclesiastica all'interno della vasta maggioranza dei musulmani, qualsiasi aderente può autoproclamarsi 'ālim (esperto in materia di religione) e proclamare un jihād difensivo per mezzo di una fatwa. Il riconoscimento è a discrezione di colui che riceve il messaggio.
In assenza di un Califfo, i soli leader politici islamici di fatto sembrerebbero essere i governi dei moderni stati-nazione musulmani emersi dagli sconvolgimenti della prima parte del XX secolo. Comunque, a causa dell'alleanza e della sudditanza degli Stati-nazione secolari e pseudo-democratici o monarchici del Vicino e Medio Oriente alle superpotenze economiche e militari mondiali non islamiche, Stati Uniti, Europa e Russia, i militanti islamisti reputano che gli Stati-nazione moderni emersi a metà XX secolo siano non-islamici e non rappresentativi di società islamiche. Il secolarismo è ampiamente percepito dagli islamisti militanti come rappresentativo di interessi politici americani ed europei ostili all'Islam.
Di conseguenza, movimenti islamisti (come al-Qā'ida e Hamās) si sono assunti il compito di proclamare il jihād, scavalcando l'autorità tanto degli Stati-nazione quanto degli esperti religiosi tradizionali. Analogamente, alcuni musulmani (specialmente i takfiristi) hanno dichiarato il jihād contro specifici governi che percepiscono come corrotti, oppressivi e anti-islamici.

Jihadisti contemporanei [modifica]
Sia per i musulmani, sia per i non musulmani gli attacchi dei militanti sotto l'egida del jihād possono essere percepiti come atti di terrorismo. Due gruppi islamisti si chiamano "Jihād islamico": l'Egyptian Islamic Jihad e il Palestinian Islamic Jihad. I fiancheggiatori di questi gruppi percepiscono una giustificazione religiosa forte per una interpretazione militante del termine jihād quale risposta adeguata all'occupazione israeliana della Cisgiordania (o "West Bank", all'inglese) e della Striscia di Gaza
I musulmani credono che un posto in Paradiso (Janna) sia assicurato a colui che muore come parte in lotta contro l'oppressione in qualità di shahīd (martire, cioè testimone). Descrizioni del Paradiso, nell'Islam come nel Cristianesimo, sono intrinsecamente problematiche. Considerazioni negli hadīth e nel Corano circa le ricompense spettanti allo shahīd — i settantadue "puri spiriti" conosciuti come Huri, i fiumi che scorrono, l'abbondanza di freschi frutti — possono, a seconda delle prospettive, essere considerati realtà letterali o metafore per un'esperienza trascendente l'umana espressione.
Anche qualora la morte di un martire in una operazione militare sia sicura, gli islamisti militanti considerano l'atto un martirio anziché un suicidio. Qualora musulmani non combattenti periscano in tali operazioni militari, i militanti considerano queste persone shahīd, anch'essi con un posto assicurato in paradiso. Stando a questa concezione, solo il nemico kāfir, o i miscredenti, ricevono danno dalle operazioni di martirio. La maggioranza degli eruditi islamici rigetta questa interpretazione. Il suicidio è un peccato nell'Islam. La dottrina maggioritaria degli studiosi discorda dall'approccio militante islamista in materia, e ritiene che le operazioni di martirio siano equivalenti al peccato di suicidio, che uccidere civili sia un peccato e che la Sunna (il costume, la Retta Via) non permetta né l'uno né l'altro. Per questi studiosi, e per la vasta maggioranza dei musulmani, né le missioni suicide né gli attacchi ai civili sono considerati legittime conseguenze del jihād.
Praticamente tutti i musulmani, tuttavia, ritengono che la legittima difesa dell'Islam comporti ricompense nell'Altra Vita. La base dello shahīd può essere rintracciata nelle parole di Maometto prima della battaglia di Badr, quando disse:
« Giuro in Colui che tiene tra le mani l'anima di Maometto che Allah farà entrare in Paradiso chiunque oggi li [i nemici] combatterà e sarà ucciso soffrendo nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, avanzando e non indietreggiando. »
(Maometto)
Ci sono alcuni religiosi musulmani che autorizzano operazioni di martirio come forma valida di jihād, specialmente contro Israele, i suoi alleati e i suoi sostenitori, in quanto credono che questi attacchi siano risposte legittime all'occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza [5].
Eppure l'illiceità di operazioni di bombe-suicide è suggerita dal seguente hadith:
« Chiunque deliberatamente si getti da una montagna uccidendosi, starà nel Fuoco (nell'Inferno islamico), eternamente cascandovi dentro e rimanendovi in perpetuo; e chiunque beva veleno per uccidersi lo porterà con sé e lo berrà nel Fuoco, dove rimarrà per sempre; e chiunque si uccida col ferro porterà con sé quell'arma e con essa si pugnalerà l'addome nel Fuoco dove rimarrà in eterno. »
(Bukharī (7:670))
Le organizzazioni militanti islamiste non costituiscono uno Stato autonomo o una autorità di fatto; nondimeno esse considerano i bersagli economici come obiettivi militari, citando come prova le numerose incursioni carovaniere (vedi la Battaglia di Badr per una descrizione di tale incursione, e della guerra cui condusse). Resta il fatto, comunque, che la tradizione islamica più antica proibisce espressamente di attaccare donne, bambini, anziani ed edifici civili nel corso di una campagna militare. Il Corano, l'indiscutibile fonte di autorità nell'Islam, denuncia con veemenza l'uccisione di innocenti:
« Chiunque uccida una persona - a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla terra - sarà come se uccidesse l'intera umanità; e chiunque salvi una vita, sarà come se avrà salvato la vita di tutta l'umanità. »
(Corano (5:32))
Pertanto, in base a questo verso del Corano, se un essere umano non ha
ucciso un'altra persona;
creato conflitto o disordine nel mondo;
ne consegue che quell'essere umano è innocente. Ucciderlo sarebbe l'equivalente di un massacro dell'intera razza umana, un delitto inconcepibilmente barbaro e un peccato enorme. Per la maggior parte dei musulmani questo verso è decisamente abbastanza chiaro da togliere ogni dubbio o ambiguità sul rango morale degli attacchi contro civili.

Il trattamento dei prigionieri di guerra [modifica]
L'invasione militare dell'Iraq da parte degli USA nel 2003 ha suscitato episodi di violente rappresaglie da parte di partigiani musulmani, che hanno catturato e condannato a morte sospetti agenti nemici. La decapitazione di civili, anche di quelli che intrattenevano contatti con l'esercito statunitense, è stata unanimemente condannata perfino da gruppi militanti islamisti, nonostante la pratica fosse usuale contro i nemici musulmani del Califfato abbaside. Nel mondo musulmano, per esempio, l'omicidio di Nick Berg è stato fortemente condannato. Studiosi dell'Università-moschea di al-Azhar del Cairo hanno emesso una dichiarazione di condanna per l'atto [6], e così hanno fatto numerosi gruppi musulmani in Occidente, compreso il Consiglio delle relazioni americano-islamiche. Il partito islamista sciita libanese Hezbollah e il gruppo nazionalista palestinese Hamās hanno denunciato l'omicidio. Hezbollah ha emesso una dichiarazione in cui l'avvenimento è detto "atto orribile che fa un torto immenso all'Islam e ai musulmani da parte di un gruppo che finge falsamente di seguire i precetti della religione del perdono".
Anche capi religiosi conservatori e fondamentalisti iracheni hanno denunciato l'assassinio. Muthanna al-Dhārī, membro del Consiglio del "clero" musulmano, ha detto che
« ...l'atto rende un cattivo servizio alla nostra religione e alla nostra causa. Anche se si trattava di un militare, egli doveva essere trattato come un prigioniero che, in accordo con la Sharī'a (la legge islamica), non deve essere ucciso. »
(Muthanna al-Dhārī)
ʿIyād Sāmarrāʾī del "Partito Islamico" ha commentato
« Questo è assolutamente sbagliato. L'Islam invero proibisce l'uccisione o il maltrattamento dei prigionieri. »
('Iyād Sāmarrā'ī[3])
Come era pratica comune nel Medioevo, l'Islam in effetti considera i prigionieri di guerra un bottino. Quando Maometto e i suoi eserciti risultavano vittoriosi in battaglia, i prigionieri di guerra maschi o venivano restituiti alle tribù dietro riscatto, o scambiati con prigionieri di guerra musulmani, oppure venduti come schiavi, com'era costume dell'epoca. Anche le donne e i bambini catturati e fatti prigionieri correvano il rischio di cadere in schiavitù, benché la conversione all'Islam fosse una strada per ottenere la libertà.
Il trattamento di prigionieri di guerra ai tempi di Maometto in persona sembra fosse decisamente più umano di quello riservato dalle generazioni successive della dirigenza islamica. Dopo la Battaglia di Badr, alcuni prigionieri furono condannati a morte per i loro trascorsi delitti alla Mecca, ma ai restanti furono date le seguenti opzioni: o di convertirsi all'Islam e guadagnare così la libertà, o di pagare il riscatto e guadagnare la libertà, o di insegnare a leggere e a scrivere a 10 musulmani e guadagnare così la libertà. Anche l'orientalista William Muir, non propriamente amichevole verso l'Islam, ha scritto quanto segue:
« A seguito delle decisioni di Maometto, i cittadini di Medina e coloro tra i rifugiati che possedevano case ricevettero i prigionieri e li trattarono con molta considerazione. 'Siano benedetti gli uomini di Medina' disse uno dei prigionieri in epoca successiva, 'ci hanno fatto cavalcare mentre essi camminavano, ci hanno dato pane lievitato quando ce n'era poco, mentre loro si accontentavano di datteri. »
(William Muir)

Brani dal Corano sulla guerra [modifica]
Il Corano usa il termine "jihād" solo quattro volte, nessuna delle quali fa riferimento alla lotta armata. Come tale, l'uso della parola jihād in riferimento alla guerra canonica islamica, fu un'invenzione posteriore dei musulmani. Tuttavia, il concetto di guerra legale islamica non fu a sua volta una invenzione posteriore, e il Corano contiene passaggi che si riferiscono a specifici eventi storici e che possono chiarire la teoria e la pratica dalla lotta armata (qitāl) per i musulmani.
In questo senso è decisivo il passo 193 della Sura II, nel quale compare la parola "fitna" (arabo "prova"), che in arabo ha un significato molto ampio, che include sia la ribellione che il vizio, nei confronti di Allah e delle sue creature.
Il termine viene solitamente tradotto con "persecuzione" poiché è preceduto da una chiara espressione "scacciateli da dove vi hanno scacciati".
Dal testo coranico, però, non emerge chiaramente se il "jihād" sia finalizzato alla conversione e sottomissione dei non-credenti oppure a garantire la libertà di culto per i musulmani. A sostegno di questa interpretazione, troviamo la legge del contrappasso, l'invito a rispettare le tregue durante i mesi sacri, a desistere senza rappresaglia in caso di resa, e al fatto che tutti gli imperativi sono preceduti o seguiti da un riferimento alla persecuzione. Ecco di seguito alcuni esempi:
« Combatti per la causa di Dio chi ti combatte, ma non superare i limiti; poiché Dio non ama coloro che eccedono.
Uccideteli dovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell'omicidio. Ma non attaccateli vicino alla Santa Moschea, fino a che essi non vi abbiano aggredito. Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti.
Se però cessano, allora Allah è perdonatore, misericordioso.
Combatteteli finché non ci sia più persecuzione (Fitna, in arabo) e il culto sia [reso solo] ad Allah. Se desistono, non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevaricano.Mese sacro per mese sacro e per ogni cosa proibita un contrappasso. Aggredite colori che vi aggrediscono. Temete Allah e sappiate che Allah è con coloro che Lo temono. »
(Corano (2:190-194))
« Perché non dovreste combattere per la causa di Dio e di coloro che, deboli, sono maltrattati e oppressi?- Uomini, donne e bambini che urlano "O Signore, salvaci da questa città il cui popolo ci opprime; e innalza da te per noi qualcuno che ci proteggerà. E innalza da te per noi qualcuno che ci aiuterà. »
(Corano (4:76))
« Getta terrore nei nemici di Allah e nei vostri nemici. Ma se il nemico inclina alla pace, anche tu inclina alla pace, e abbi fede in Allah. Egli è Uno che ascolta e sa tutto. »
(Corano (8:60-61))
« Cosa! Non vuoi combattere un popolo che ha rotto i patti e mirato all'espulsione del Messaggero, e ti ha attaccato per primo; li temi? Ma Allah ha ben più diritto di essere temuto, se siete credenti combatteteli, e Allah li tormenterà per mano vostra, li ricoprirà di infamia. »
(Corano (9:13-14))
« E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: «Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Allah e dal Suo Messaggero». Allah è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo Messaggero...!. »
(Corano (8:12-13))
« Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso. E se qualche associatore ti chiede asilo, concediglielo affinché possa ascoltare la Parola di Allah, e poi rimandalo in sicurezza. Ciò in quanto è gente che non conosce!. »
(Corano (9:5-6))
« Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati... »
(Corano (9:29))
« Non uccidete l’uomo che il Dio vi ha proibito di ammazzare, a meno che ci sia una ragione valida. »
(Corano (17:33))
« Il permesso (di combattere) è dato a coloro ai quali la guerra è fatta perché sono oppressi ... coloro i quali sono stati cacciati dalle loro case senza un motivo diverso da quello di aver detto: il nostro Signore è Allah. »
(Corano (22:39-40))
« O Profeta, ti abbiamo reso lecite le spose alle quali hai versato il dono nuziale, le schiave che possiedi che Allah ti ha dato dal bottino. Le figlie del tuo zio paterno e le figlie delle tue zie paterne, le figlie del tuo zio materno e le figlie delle tue zie materne che sono emigrate con te e ogni donna credente che si offre al Profeta, a condizione che il Profeta voglia sposarla. Questo è un privilegio che ti è riservato, che non riguarda gli altri credenti. Ben sappiamo quello che abbiamo imposto loro a proposito delle loro spose e delle schiave che possiedono, così che non ci sia imbarazzo alcuno per te. Allah è perdonatore, misericordioso... »
(Corano (33:50))
« Quando [in combattimento] incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati, poi legateli strettamente. In seguito liberateli gratuitamente o in cambio di un riscatto, finché la guerra non abbia fine. Questo è [l'ordine di Allah]. Se Allah avesse voluto, li avrebbe sconfitti, ma ha voluto mettervi alla prova, gli uni contro gli altri. E farà sì che non vadano perdute le opere di coloro che saranno stati uccisi sulla via di Allah. »
(Corano (47:4))

PER RIFLETTERE... by PM81



Chiudo le pagine del quotidiano e per un attimo mi assale un dubbio: ma chi sono i buoni?

La fredda contabilità della guerra parla di più di mille morti nella Striscia: civili, miliziani, ma in fondo è difficile fare una distinzione perché contro truppe, aerei, elicotteri e carri armati israeliani, non si è battuto un esercito regolare bensì chi, in un popolo afflitto dalle privazioni dell’embargo, ha avuto la forza di farlo, ritrovandosi poi più che altro impegnato a scavare tra le macerie in cerca di vittime.

Eppure è stata Hamas a violare la tregua coi lanci di missili da Gaza verso le città israeliane, motivo per cui la reazione di Gerusalemme andrebbe giustificata, e di certo quest’ultima non ha colpa se, nel tentativo di annichilire gli integralisti, colpisce dei civili, dal momento che i primi si mescolano tra le case e le vie di Gaza con i cittadini innocenti: sappiamo bene che la tragicità di ogni conflitto sta proprio nelle sofferenze che devono patire popolazioni che, delle guerre volute dai rispettivi rappresentanti governativi, il più delle volte farebbero volentieri a meno. In questo caso però il dubbio torna: e se civili e integralisti fossero le stesse persone, o comunque vivessero sotto gli stessi tetti per veri legami di sangue? Allora la scelta di rompere la tregua sarebbe una follia, un’inspiegabile forma di autolesionismo collettivo dettata da quel fondamentalismo islamico che alimenta le organizzazioni terroristiche che scuotono il mondo in nome della jihad.
Esiste però un’altra giustificazione ad un simile azzardo: la disperazione.
Sì perché stiamo parlando di un popolo, quello palestinese, sempre più stremato dalla mancanza dei più basilari mezzi di sopravvivenza imposta dall’embargo.
Non dimentichiamoci delle immagini che, solo qualche mese fa, ci hanno mostrato la gente abbattere le alte pareti del muro eretto attorno a questo territorio, alla ricerca di generi di prima necessità; la stessa gente che anche oggi cerca una via di fuga scavando tunnel verso l’Egitto; la stessa gente che, con ogni probabilità allora, è disposta a rompere una tregua contro un nemico più forte e più influente, non in virtù dell’ideologia, ma della sopravvivenza: in fondo chi non preferirebbe morire combattendo per il proprio diritto di esistere, nel momento in cui l’alternativa fosse morire di fame, sete o freddo?Probabilmente anche in virtù di simili considerazioni, oggi Ban ki-moon, attuale segretario dell’ONU, colpevole di avere fatto dietrofront dopo un timido tentativo di intervento, ha affermato che la reazione israeliana è stata “eccessiva”, ma è allora doveroso chiedersi per quale motivo non sia stata fermata, o per lo meno mitigata, se ha suscitato lo sdegno anche delle Nazioni Unite.
Non si è alzato un coro di voci a chiedere il “cessate il fuoco” se non da qualche manifestazione di piazza: la maggioranza del mondo politico sembra essere rimasta a guardare, e anzi numerosi leader occidentali, così come il più dei politici italiani, sono arrivati a propagandare, attraverso televisioni e giornali, il dovere di sostenere Israele in questa sua battaglia per il diritto di esistere.
Eppure sembrerebbe che fosse la sopravvivenza dei palestinesi ad essere messa maggiormente a repentaglio, stando alle notizie che giungono fino a noi, confidando sempre che non vengano prima opportunamente “filtrate” per ridimensionare la portata degli attacchi inflitti da Israele.Sarà pure il solito ritornello, ma considerato quello che sta accadendo e vista la reazione del mondo, come non ci si può chiedere, ancora una volta, fin dove arrivino i tentacoli di quelle lobby di potere economico e politico che fanno capo a Gerusalemme?
E come non riflettere sulla verosimile influenza che queste possono avere nelle scelte della politica internazionale?
Va considerato poi un ultimo aspetto, in parte già accennato in precedenza: il sodalizio tra Stati Uniti e Israele è inattaccabile, il mondo occidentale, Italia compresa, non sembra comunque voler trovare il coraggio di remare, se necessario, contro il binomio Washington-Gerusalemme, e l’ONU, la più importante delle organizzazioni internazionali, sembra soffrire della stessa malattia, tutto questo dichiarazioni a parte (tanto “verba volant”). Detto ciò diventa più facile capire con quanta facilità la forza del fronte “pro-Israele”, sia stata in grado di garantire carta bianca nell’operazione Piombo Fuso. Notizie dell’ultima ora affermerebbero che Hamas ha accettato una tregua: se è vero che di solito cede il cattivo allora abbiamo vinto, siamo noi i buoni…e quindi possiamo dormire tranquilli.
PM81

mercoledì 14 gennaio 2009

" PACE NON BASTA AYKA!!! "


LA STRISCIA DI GAZA da Vikipedia


Col termine Striscia di Gaza (in arabo: قطاع غزة, Qiṭāʿ Ghazza; in ebraico: רצועת עזה, Retzu'at 'Azza) si indica un territorio palestinese confinante con Israele e Egitto nei pressi della città di Gaza. Si tratta di una regione costiera di 360 km² di superficie popolata da circa 1.400.000 abitanti di etnia arabo palestinese.[1]
Quest'area non è riconosciuta internazionalmente come uno Stato sovrano, ma è reclamata dall'Autorità Nazionale Palestinese come parte dei Territori palestinesi. Dalla battaglia di Gaza del 2007 il governo della striscia è oggi nelle mani dell'organizzazione palestinese Hamas.
È delimitata dalla barriera tra Israele e la Striscia di Gaza e le principali città sono Gaza (in arabo Ghazza) e Rafaḥ.



La Striscia di Gaza non è riconosciuta internazionalmente come parte di qualsiasi paese sovrano. Si sostiene da parte della Autorità nazionale palestinese che sia parte dei territori palestinesi, anche se in seguito alla battaglia di Gaza (2007), il controllo effettivo del territorio è passato ad Hamas. Israele, che ha governato la Striscia di Gaza dal 1967 al 2005, ancora controlla lo spazio aereo della striscia, le sue acque territoriali e l'accesso marittimo, così come il lato israeliano della barriera tra Israele e la Striscia di Gaza. L'Egitto, che ha governato la Striscia di Gaza tra il 1948 ed il 1967 ne controlla la frontiera meridionale.

Dominazione ottomana e britannica (1517-1948) [modifica]
Nel 1517 gli Ottomani conquistano Gaza, e la terranno fino alla Prima Guerra Mondiale.
Dopo la prima guerra mondiale, Gaza è diventata parte del Mandato britannico della Palestina sotto l'autorità della Società delle Nazioni. Il dominio britannico sulla Palestina si è concluso con la dichiarazione d'indipendenza israeliana nel 1948.

Occupazione egiziana (1948-67) [modifica]
Secondo i termini del piano di partizione delle Nazioni Unite del 1947, la zona di Gaza era destinata a diventare parte di un nuovo Stato arabo. Dopo lo scioglimento del Mandato britannico della Palestina e la Guerra civile in Palestina del 1947-1948, Israele ha dichiarato la sua indipendenza nel maggio 1948. L'esercito egiziano ha invaso la zona da sud, nel quadro della guerra arabo-israeliana.
La Striscia di Gaza, come è noto oggi, è stata il prodotto di accordi successivi all'armistizio del 1949 tra Egitto e Israele, spesso definito come la "linea verde". L'Egitto ha occupato la Striscia dal 1949 (ad eccezione di quattro mesi di occupazione israeliana nel corso della Crisi di Suez del 1956) fino al 1967, non riuscendo mai ad annettere a sé il territorio, soltanto controllato e gestito attraverso un governatore militare. Ai rifugiati non è mai stata offerta cittadinanza egiziana.

Occupazione israeliana (1967-1994) [modifica]
Israele ha occupato la Striscia di Gaza di nuovo nel giugno 1967 durante la guerra dei sei giorni. L'occupazione militare è durata per 27 anni, fino al 1994. Tuttavia, secondo gli accordi di Oslo, Israele mantiene il controllo dello spazio aereo, le acque territoriali, l'accesso off-shore marittimo, l'anagrafe della popolazione, l'ingresso degli stranieri, le importazioni e le esportazioni, nonché il sistema fiscale.
Durante il periodo di occupazione israeliana, Israele ha creato un insediamento, Gush Katif, nell'angolo sud ovest della Striscia, vicino a Rafah e il confine egiziano. In totale, Israele ha creato 21 insediamenti nella Striscia di Gaza, su circa il 20% del totale del territorio. Durante tale periodo l'amministrazione militare è stato anche responsabile per la manutenzione di impianti civili e dei servizi.
Nel maggio 1994, a seguito degli accordi israelo-palestinese, noti come accordi di Oslo, un graduale trasferimento di autorità governative per i palestinesi ha avuto luogo. Gran parte della Striscia (tranne che per la liquidazione blocchi militari e le zone insediate) passò sotto il controllo palestinese. Le forze israeliane lasciarono Gaza City e le altre aree urbane, lasciando l'amministrazione alla nuova Autorità palestinese.

Controllo dell'ANP (1994-2007) [modifica]

Striscia di GazaTerritori palestinesi
vdm

Nord Gaza
Gaza
CITTÂ DI GAZA
Deir al-Balah
Khan Yunis
Rafah
L'Autorità palestinese, guidata da Yasser Arafat, ha scelto la città di Gaza come la sua prima sede provinciale. Nel settembre 1995, Israele e l'OLP firmarono un secondo accordo di pace che estende l'amministrazione dell'Autorità palestinese alla maggior parte delle città della Cisgiordania. La Pubblica Amministrazione della Striscia di Gaza e Cisgiordania sotto la leadership di Arafat ha visto episodi di cattiva gestione.
Il 14 agosto 2005 il governo israeliano ha disposto l'evacuazione della popolazione israeliana dalla "Striscia" e lo smantellamento delle colonie che vi erano state costruite (piano di disimpegno unilaterale israeliano).
Il 15 agosto ebbe inizio l'operazione "Mano tesa ai fratelli", che tendeva a conseguire pacificamente lo sgombero dei coloni israeliani insediatisi nelle Striscia di Gaza e in alcuni insediamenti della Cisgiordania. I soldati israeliani passarono casa per casa, tentando di convincere i coloni rimasti a partire.
Il governo israeliano ordinò ad ogni colono di nazionalità israeliana di abbandonare gli insediamenti entro la mezzanotte, considerando chiunque fosse rimasto oltre il limite prefissato in condizione di illegalità. Dopo la mezzanotte, il governo concesse due giorni di tolleranza, durante i quali le colonie furono progressivamente circondate da 40.000 militari e poliziotti israeliani.
Tutti i coloni che partirono entro la mezzanotte del 16 agosto, ebbero la possibilità di utilizzare mezzi propri e si videro riconosciuto il diritto all'indennizzo stanziato dal governo. Trascorsi i due giorni di tolleranza, dalla mezzanotte del 17 agosto ebbe inizio l'evacuazione forzata: i militari furono autorizzati ad imballare ed a caricare in container beni e mobili rimasti nelle case. I coloni ancora presenti furono spostati di forza dagli insediamenti.
Nella colonia di Nevé Dekalim, l'insediamento più importante della regione, si sono avuti gli scontri più violenti. Qui vivono più di 2.600 persone. In serata era circondato dalla polizia e dai militari. Secondo fonti da verificare un portavoce dell'esercito, parlando degli elementi israeliani più oltranzisti che rifiutavano di abbandonare il territorio palestinese occupato dal 1967, affermò che «il nostro problema non sono gli abitanti originari ma i militanti contrari all'evacuazione che si sono infiltrati illegalmente a Gaza».
Lo sgombero della Striscia terminò il 22 agosto, con il trasferimento delle ultime famiglie della colonia di Netzarim. I soldati impegnati nell'evacuazione furono trasferiti in Cisgiordania, dove vennero evacuati i coloni di Hamesh e Sa-Nur.
L'11 settembre, con una cerimonia molto sobria svoltasi presso i resti della colonia di Nevé Dekalim, i comandanti militari di Israele ammainarono la loro bandiera a Gaza. Verso sera, lunghe colonne di mezzi militari israeliani abbandonarono la Striscia.
Il 12 settembre 2005 il territorio della Striscia di Gaza passò in mano palestinese, e gli abitanti ebbero accesso alle aree che erano state loro precedentemente vietate. Alcuni palestinesi ne approfittano per vendicarsi dell’occupazione dando fuoco alle sinagoghe abbandonate e a circa 10 milioni di dollari di infrastrutture fra cui serre per coltivazioni. Il partito di al-Fatah governa in questo modo ufficialmente sulla striscia di Gaza, primo pezzo dello stato di Palestina.

Controllo di Hamas (2007-oggi) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Conflitto Fatah-Hamas, Battaglia di Gaza (2007), Blocco della Striscia di Gaza e Conflitto Israele-Striscia di Gaza#2008.

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Dopo quasi 2 anni di controllo da parte di al-Fath, vennero indette nuove elezioni, vinte dal partito islamista Hamas, che si installò nella Striscia di Gaza. Durante il giugno del 2007 la tensione tra Hamas e al-Fath, il partito del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese residente in Cisgiordania, sfociò in scontri aperti tra le due fazioni che in pochi giorni fecero oltre un centinaio di morti. Il 14 giugno 2007 Hamas, dopo una campagna militare efficace e violenta, conquistò la sede militare dell'ANP arrivando di fatto al controllo dell'intera Striscia di Gaza.
L'Unione europea, e allo stesso modo gli USA, considerando Hamas un'organizzazione terroristica, interruppero l'invio degli aiuti verso la Striscia di Gaza.
Iniziò contestualmente una nuova fase del conflitto tra Hamas ed Israele che vide, da parte palestinese, il lancio di razzi Qassam e tiri di mortaio contro installazioni e città israeliane e, da parte israeliana, un embargo verso la Striscia, missioni di guerra e cosiddetti assassinii mirati contro esponenti palestinesi giudicati particolarmente pericolosi per la sua sicurezza.

Colpi di mortaio e razzi qassam caduti su Israele nel 2008
Il 1º marzo 2008, l'esercito dello Stato di Israele con l'operazione Inverno caldo invase direttamente l'area con forze blindate ed aeree.
Nell'ambito di una tregua di sei mesi, mediata nel giugno 2008 dall'Egitto, Hamas accettò di porre fine al lancio dei razzi in cambio di un alleggerimento del bloccp da parte di Israele. Il cessate-il-fuoco, però, non fu completamente osservato, soprattutto da parte israeliana: si sono contati 49 palestinesi uccisi nel periodo di tregua. Inoltre Israele non ha rispettato la parte centrale dell'accordo, che prevedeva l'alleggerimento del blocco: invece dei 450 camion di aiuti giornalieri previsti, al massimo a una settantina era concesso attraversare i confini di Gaza, aggravando le condizioni di vita di una popolazione che sopravvive in gran parte grazie ad aiuti umanitari. Israele il 4 novembre ha violato per prima i termini della tregua, e precisamente , con un attacco dentro il territorio di Gaza che ha ucciso 6 palestinesi, tale attacco fu pubblicizzato e condannato da quasi tutti i mass media mondiali. A metà dicembre quindi, Hamas, per voce del primo ministro del suo Governo a Gaza, ha dichiarato "Non ci sarà nessun rinnovo della tregua senza un alleggerimento dell'assedio". A fronte di una crisi umanitaria interna sempre più grave (che alcuni hanno paragonato all'assedio nazista del ghetto di Varsavia), e nella speranza di poter trattare con Israele da posizioni di forza, il 19 dicembre sono ripresi lanci di razzi dalla Striscia da parte di Hamas, riportando all'attenzione internazionale la situazione della regione. Adducendo a motivo i lanci di razzi, dichiarando di voler ripristinare la sicurezza delle zone da essi minacciate, il 27 dicembre 2008 i vertici politici israeliani hanno lanciato l'operazione Piombo fuso contro la Striscia, con bombardamenti aerei su vasta scala. La notte del 3 gennaio 2009 è iniziata l'invasione di terra da parte dell'esercito israeliano; La notte del 12 gennaio 2009, invece, per la prima volta nella storia della Striscia, le truppe israeliane penetrano nella città di Gaza, invadendo la periferia. L'avanzata avviene poche ore dopo che il primo ministro Ehud Olmert aveva messo in guardia i militanti di Hamas contro il "pugno di ferro" che si sarebbe abbattuto su di loro se avessero rifiutato le condizioni israeliane di stop ai combattimenti sulla Striscia. L'inasprirsi del conflitto ha, di fatto, congelato, il difficilissimo processo di pace nella regione.

Economia [modifica]
La produzione economica nella Striscia di Gaza è diminuita di circa un terzo tra il 1992 e il 1996. Questa flessione è stata variamente attribuita alla corruzione e la cattiva gestione da parte di Yasser Arafat, e alle politiche di chiusura di Israele. Un grave effetto negativo sociale di questo rallentamento è stato l'emergere di un alto tasso di disoccupazione.
I coloni israeliani di Gush Katif avevano costruito serre e sperimentato nuove forme di agricoltura. Queste serre inoltre fornivano occupazione a molte centinaia di palestinesi di Gaza. Quando Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza nell'estate del 2005, le serre sono state acquistate con i fondi raccolti da ex Presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, e date al popolo palestinese per iniziare la loro economia. Tuttavia, lo sforzo di miglioramento è stato limitato a causa dello scarso approvvigionamento di acqua, dell'incapacità di esportare prodotti a causa di restrizioni israeliane di confine, e della corruzione dilagante all'interno dell'Autorità palestinese. La maggior parte delle serre sono state saccheggiate o distrutte.[2][3]
I principali partner commerciali della Striscia di Gaza sono Israele, Egitto, e la Cisgiordania. Prima della seconda rivolta palestinese scoppiata nel settembre 2000, circa 25.000 lavoratori dalla Striscia di Gaza, ogni giorno si recavano in Israele per lavoro.[4]
Israele, Stati Uniti, Canada, e l'Unione europea hanno congelato tutti i fondi al governo palestinese dopo la formazione di un governo controllato da Hamas dopo la sua vittoria nel 2006 nelle elezioni legislative palestinesi.[senza fonte]

Religione [modifica]
Il 99,3% della popolazione è musulmano; lo 0,7% è invece cristiano.[5]


kalimera ha detto...
Pace nn basta aika.

In questi terribili giorni di genocidio perpretrato dalle mani degli Israeliani su civili palestinesi, potresti scrivere qualcosa di piu'.


Allora lancio io un appello:

per favore aderite alle cause propalestina che trovate sul web,

inviate aiuti economici a gaza se potete!

E mandate una email alla farnesina per chiederre di oscurare questo sito aberrante sionista con una black list di obbiettivi da eliminare secondo l'esercito Israeliano, tra cui anche l'attivista pacifista Vittorio Arrigoni, uno dei pochi ad essere a Gaza e a documentare veramnete coi suoi diari il massacro di Gaza!

Il sito schifoso e' questo:


La Polizia postale e la Farnesina devono immediatamente attivarsi presso le autorità estere competenti perché chiunque si celi dietro il sito venga identificato e il sito oscurato. Ad una ricerca sul database del servizio Whois per il dominio in questione non è possibile ottenere alcuna informazione rilevante per identificare gli istigatori all'omicidio.

Mentre questo e' il blog dove trovare gli articoli di Arrigoni:http://guerrillaradio.iobloggo.com/

Per favore non restate nell'ignoranza dell'informazione pilotata italiana, uscite dal guscio e guardate cosa succede!http://1.1.1.2/bmi/img172.imageshack.us/img172/8371/angeliapezzilx7.jpg
14 gennaio 2009 5.31
Un cammello viene lanciato contro una sezione del confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto.