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Jihad (ǧihād جهاد) è una parola araba che deriva dalla radice <"ǧ-h-d> che significa "esercitare il massimo sforzo" o "combattere". La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa. In quanto termine istituzionale si raccomanda di conservare il genere maschile, originario arabo (il jihād), anche alla luce del suo primario significato letterale di "sforzo" o "impegno". Ciò consentirà inoltre di rendere invece femminile la parola (la jihād) quando si voglia parlare di un'organizzazione militante, tradizionalista o terrorista che faccia uso appropriato o strumentale di questo termine, intendendolo chiaramente come "guerra santa".[1]
Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava alla Mecca, il jihād si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale. In seguito al trasferimento (Egira) dalla Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il Corano iniziò a incorporare la parola qitāl (combattimento o stato di guerra), e due degli ultimi versi rivelati su questo argomento (9:5, 29) suggeriscono, secondo studiosi classici come Ibn Kathīr, una continua guerra di conquista contro i nemici non credenti.Tra i seguaci dei movimenti liberali interni all'Islam, comunque, il contesto di questi versi è quello di una specifica "guerra in corso" e non una serie di precetti vincolanti per il fedele.Questi musulmani "liberali" tendono a promuovere una comprensione del jihād che rigetti l'identificazione del jihād con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto principi di non violenza. Tali musulmani citano la figura coranica di Abele a sostegno della credenza per cui chi muore in conseguenza del rifiuto di usare violenza può ottenere perdono dei peccati. Questa è comunque un'interpretazione scarsamente diffusa e nettamente minoritaria all'interno del mondo islamico.
Nonostante le interpretazioni posteriori di queste porzioni del Corano, i passaggi in questione sottolineavano chiaramente, all'epoca, l'importanza dell'autodifesa nella comunità musulmana.
I musulmani spesso si rifanno a due significati di jihād citando un hadīth riportato dall'Imām Bayhaqī e da al-Khatīb al-Baghdādī, benché il suo isnād (la catena di tradizioni che può ricondurre sino alle parole di Maometto) sia classificato come "debole":
"jihād minore (esteriore)" - uno sforzo militare, cioè una guerra legale
"jihād maggiore (interiore)" - lo sforzo per autoemendarsi, contrastando le pulsioni passionali dell'io
Altri esempi di azioni che potrebbero essere considerati jihād (sulla base di hadīth con migliore isnād) includono:
Parlare francamente contro un governante oppressivo ("Sunan" di Abū Dāwūd, libro 37, numero 4330)
Andare in Hajj (pellegrinaggio a Mecca) - per le donne, questa è la migliore forma di jihād ("Sahīh" di Bukhārī, volume 2, libro 26, numero 595).
Prendersi cura dei genitori anziani, come il profeta Maometto ordinò di fare a un giovane, invece di unirsi a una campagna militare (narrato da Bukhārī, Muslim, Abū Dāwūd al-Sijistānī, al-Tirmidhī e al-Nasā'ī).
Il significato più letterale di jihād è semplicemente "sforzo", e così è talvolta soprannominato il "jihād interiore". Questo "jihād interiore" si riferisce essenzialmente a tutti gli sforzi che un musulmano potrebbe affrontare aderendo alla religione. Per esempio, uno studio erudito dell'Islam è uno sforzo intellettuale cui qualcuno può fare riferimento come "jihād" , benché non sia comune per uno studioso dell'islam di fare riferimento ai suoi studi come "impegnarsi in un jihād". Inoltre, esiste una dimensione del "jihād" maggiore" che include motivi personali ineludibili, desideri, emozioni, e la tendenza a garantire il primato a piaceri e gratificazioni terrene.
La tradizione di identificare lo sforzo interiore come "jihād maggiore" (cioè, non militare) pare essere stato profondamente influenzato dal sufismo, un movimento mistico interno all'Islam antico e diversificato.Oggi, la parola jihād è tuttavia usata in numerosi circoli come se avesse una dimensione esclusivamente militare. Per quanto questa sia l'interpretazione più comune di jihād, è degno di nota che la parola non è usata strettamente in questo senso nel Corano, il testo sacro dell'Islam. È anche vero, tuttavia, che la parola è usata in numerosi hadīth sia in contesti militari che non militari.
1 Guerra nell'Islam
1.1 Jihād difensivo
1.2 Jihād offensivo
1.3 Chi può autorizzare il jihād offensivo?
1.4 Jihadisti contemporanei
1.5 Il trattamento dei prigionieri di guerra
1.6 Brani dal Corano sulla guerra
2 Bibliografia
3 Note
4 Voci correlate
5 Collegamenti esterni
5.1 Siti Neutrali
5.2 Siti islamici
5.3 Siti di ex musulmani
5.4 Siti non-islamici
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Guerra nell'Islam [modifica]
Jihād difensivo [modifica]
È importante distinguere tra due tipi di guerra religiosa armata nell'Islam, ovvero il jihād offensivo e il jihād difensivo. La maggioranza dei musulmani considera la lotta armata contro l'occupazione straniera o l'oppressione da parte di un governo interno degne di jihād difensivo. In effetti, sembra che il Corano richieda la difesa militare della comunità islamica assediata.
In epoca coloniale le popolazioni musulmane insorsero contro le autorità coloniali sotto la bandiera del jihād (gli esempi includono il Daghestan, la Cecenia, la rivolta indiana contro la Gran Bretagna (Moti indiani del 1857, altrimenti detti dai britannici Mutiny ) e la guerra d'indipendenza algerina contro la Francia). In questo senso, il jihād difensivo non è diverso dal diritto di resistenza armata contro l'occupazione, che è riconosciuto dall'ONU e dal diritto internazionale.
La tradizione islamica ritiene che quando i musulmani vengono attaccati diventi obbligatorio per tutti i musulmani difendersi dall'attacco, partecipare al jihād. Quando l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan nel 1979, l'eminente militante islamico 'Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām (che influenzò in modo determinante Ayman al-Zawāhirī e Usāma bin Lāden) emise una fatwa chiamata, Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge [3], dichiarando che tanto la lotta afghana quanto quella palestinese erano jihād nelle quali l'azione militare contro i kuffār (miscredenti) sarebbe stata fard 'ayn (obbligo personale) per tutti i musulmani. L'editto fu appoggiato dal Gran Mufti dell'Arabia Saudita, 'Abd al-'Azīz Bin Bazz. Nella fatwa, 'Azzām spiegò:
« ... gli 'Ulamā' [studiosi religiosi] dei quattro madhāhib [le scuole di giurisprudenza religiosa] (malikiti, hanafiti, sciafeiti e hanbaliti), i Muhaddithūn (studiosi dei hadīth e i commentatori del Corano (Mufassirūn, da Tafsīr, "esegesi") concordano che in tutte le epoche islamiche il jihād in queste condizioni diventa fard 'ayn (obbligo individuale) per i musulmani del luogo in cui gli infedeli hanno attaccato e per i musulmani più prossimi, per cui i fanciulli agiranno senza il permesso dei genitori, la moglie senza il permesso del marito e il debitore senza il permesso del creditore. E se i musulmani di questo luogo non sono in grado di espellere gli infedeli per mancanza di forze, perché sono distratti, perché sono indolenti o semplicemente non agiscono, allora il fard 'ayn si diffonde radialmente dai più vicini ai più prossimi. Se anch'essi si distraggono o, ancora, gli uomini scarseggiano, allora spetta marciare al popolo loro accanto, e al popolo successivo a quest'ultimo. Il processo continua finché diventi fard 'ayn per il mondo intero. »
('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwa Difesa delle terre islamiche, il primo dovere secondo la Legge)
Benché tali editti di eruditi contemporanei possano influenzare alcune comunità di credenti, il miliardo e duecento milioni di musulmani odierni è così diversificato che l'azione unificata riguardo ad istruzioni come questa è, in pratica, impossibile da conseguire.
Tra gli obiettivi di alcuni gruppi che promuovono l'islamismo radicale (il cosiddetto fondamentalismo islamico) c'è il ristabilimento di un califfo con autorità politica e militare globale che realizzi (tra le altre cose) queste campagne militari in larga scala. La questione riguardo al se, quando e come realizzare una difesa militare di una comunità musulmana oppressa, resta una questione emozionale, su cui i musulmani restano divisi.
Jihād offensivo [modifica]
Il jihād offensivo è l'intraprendere guerra di aggressione e conquista contro non-musulmani al fine di sottomettere questi e i loro territori al dominio islamico. Secondo la Encylopedia of the Orient, "il jihād offensivo, cioè l'aggressione, è pienamente permesso dall'islam sunnita" [4]. Un teologo islamico considerato il padre del moderno movimento islamista, ʿAbd Allāh Yūsuf al-ʿAzzām, dichiarava nella fatwa "Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede":
« Il jihād contro gli infedeli è di due tipi: il jihād offensivo (dove il nemico è attaccato sul suo territorio) ... [e] il jihād difensivo. Questo consiste nell'espulsione degli infedeli dalla nostra terra, ed è fard 'ayn [obbligo religioso personale per ciascun musulmano], un dovere assolutamente obbligatorio... Laddove gli infedeli non si uniscono per combattere i musulmani, combattere diventa farḍ kifāya [obbligo religioso per la società musulmana] col requisito minimo di arruolare fedeli a guardia delle frontiere, e di inviare un esercito almeno una volta all'anno a terrorizzare i nemici di Allah. È dovere dell'Imam radunare e inviare un'unità dell'esercito nella Casa della guerra (Dar al-Harb [le terre non musulmane]) una o due volte all'anno. Inoltre, assisterlo è responsabilità della popolazione musulmana, e se egli non invia un esercito commette peccato. - E gli ulamā hanno ricordato che questo tipo di jihād serve a mantenere il pagamento della jizya [la tassa pro capite per i non musulmani]. Gli studiosi dei principi religiosi hanno detto inoltre: "Il jihād è da'wa [chiamata all'Islam] con l'uso della forza, ed è obbligatorio prestarlo con ogni potenzialità disponibile, finché rimarranno soltanto musulmani o gente che si sottomette all'Islam. »
('Abd Allāh Yūsuf al-'Azzām, fatwa Difesa dei territori islamici: il primo obbligo secondo la fede[2])
I musulmani che non aderiscono a questa interpretazione militante del jihād mettono in dubbio la necessità e l'obbligazione del jihād offensivo in epoca contemporanea. Essi argomentano che la tradizionale "Casa della guerra" riportata nella fatwa dello Sheykh al-'Azzām
« ...si riferisce ai regimi ostili e agli imperi che circondavano le prime comunità islamiche. Secondo questa interpretazione, il jihād offensivo era praticato solo al fine di preservare l'Islam dalla distruzione, ed è oggigiorno obsoleto. »
A sostegno di questo punto di vista, coloro che rigettano l'Islamismo militante tendono a opporsi all'affermazione secondo cui l'Islam nel suo complesso è oggetto di attacco ostile. Pur riconoscendo tanto le turbolenze politiche che le sofferenze, essi fanno notare che i pellegrini musulmani vanno e vengono a loro piacimento al pellegrinaggio annuale del Hajj, che la libertà religiosa dei musulmani di praticare la loro fede esiste in moltissimi paesi e che numerose comunità islamiche sono emerse in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Essi propendono a porre in risalto, inoltre, tradizioni islamiche a sostegno della tolleranza per altri gruppi religiosi e sociali.
Invece l'interpretazione militante del jihād è propensa a suggerire una visione del mondo in cui forze ostili anti-islamiche impediscono oggigiorno all'Islam di realizzare il suo pieno potenziale per un'espansione globale pacifica — una visione del mondo in cui l'Islam sarà alla fine adottato dall'intera umanità se queste forze ostili verranno affrontate socialmente e militarmente.
Questo stesso conflitto tra due punti di vista può essere visto come "lotta", o jihād, per l'anima dell'Islam contemporaneo.
Chi può autorizzare il jihād offensivo? [modifica]
L'interpretazione militante del jihād dello Shaykh al-ʿAzzām descrive il "jihād offensivo" come una campagna che può essere dichiarata solo da un'autorità musulmana legittima e legale, tradizionalmente il Califfo. Secondo questa interpretazione, nessuna autorità è richiesta per intraprendere il "jihād difensivo" — poiché, secondo questa opinione, quando i musulmani vengono attaccati, diventa automaticamente obbligatorio per tutti i maschi musulmani in età militare, entro un certo raggio dall'attacco, prendere le difese.
La questione di quale autorità musulmana, ammesso che ve ne sia, possa adempiere doveri come dichiarare il jihād è divenuta problematica da quando, il 3 marzo 1924, Kemal Atatürk abolì il califfato, che i sultani Ottomani detenevano dal 1517. In seguito alle strategie di divide et impera dell'ordine mondiale coloniale e postcoloniale, non esiste oggi un'unica autorità politica costituita che governi la maggioranza del mondo musulmano. A causa della mancanza di organizzazione ecclesiastica all'interno della vasta maggioranza dei musulmani, qualsiasi aderente può autoproclamarsi 'ālim (esperto in materia di religione) e proclamare un jihād difensivo per mezzo di una fatwa. Il riconoscimento è a discrezione di colui che riceve il messaggio.
In assenza di un Califfo, i soli leader politici islamici di fatto sembrerebbero essere i governi dei moderni stati-nazione musulmani emersi dagli sconvolgimenti della prima parte del XX secolo. Comunque, a causa dell'alleanza e della sudditanza degli Stati-nazione secolari e pseudo-democratici o monarchici del Vicino e Medio Oriente alle superpotenze economiche e militari mondiali non islamiche, Stati Uniti, Europa e Russia, i militanti islamisti reputano che gli Stati-nazione moderni emersi a metà XX secolo siano non-islamici e non rappresentativi di società islamiche. Il secolarismo è ampiamente percepito dagli islamisti militanti come rappresentativo di interessi politici americani ed europei ostili all'Islam.
Di conseguenza, movimenti islamisti (come al-Qā'ida e Hamās) si sono assunti il compito di proclamare il jihād, scavalcando l'autorità tanto degli Stati-nazione quanto degli esperti religiosi tradizionali. Analogamente, alcuni musulmani (specialmente i takfiristi) hanno dichiarato il jihād contro specifici governi che percepiscono come corrotti, oppressivi e anti-islamici.
Jihadisti contemporanei [modifica]
Sia per i musulmani, sia per i non musulmani gli attacchi dei militanti sotto l'egida del jihād possono essere percepiti come atti di terrorismo. Due gruppi islamisti si chiamano "Jihād islamico": l'Egyptian Islamic Jihad e il Palestinian Islamic Jihad. I fiancheggiatori di questi gruppi percepiscono una giustificazione religiosa forte per una interpretazione militante del termine jihād quale risposta adeguata all'occupazione israeliana della Cisgiordania (o "West Bank", all'inglese) e della Striscia di Gaza
I musulmani credono che un posto in Paradiso (Janna) sia assicurato a colui che muore come parte in lotta contro l'oppressione in qualità di shahīd (martire, cioè testimone). Descrizioni del Paradiso, nell'Islam come nel Cristianesimo, sono intrinsecamente problematiche. Considerazioni negli hadīth e nel Corano circa le ricompense spettanti allo shahīd — i settantadue "puri spiriti" conosciuti come Huri, i fiumi che scorrono, l'abbondanza di freschi frutti — possono, a seconda delle prospettive, essere considerati realtà letterali o metafore per un'esperienza trascendente l'umana espressione.
Anche qualora la morte di un martire in una operazione militare sia sicura, gli islamisti militanti considerano l'atto un martirio anziché un suicidio. Qualora musulmani non combattenti periscano in tali operazioni militari, i militanti considerano queste persone shahīd, anch'essi con un posto assicurato in paradiso. Stando a questa concezione, solo il nemico kāfir, o i miscredenti, ricevono danno dalle operazioni di martirio. La maggioranza degli eruditi islamici rigetta questa interpretazione. Il suicidio è un peccato nell'Islam. La dottrina maggioritaria degli studiosi discorda dall'approccio militante islamista in materia, e ritiene che le operazioni di martirio siano equivalenti al peccato di suicidio, che uccidere civili sia un peccato e che la Sunna (il costume, la Retta Via) non permetta né l'uno né l'altro. Per questi studiosi, e per la vasta maggioranza dei musulmani, né le missioni suicide né gli attacchi ai civili sono considerati legittime conseguenze del jihād.
Praticamente tutti i musulmani, tuttavia, ritengono che la legittima difesa dell'Islam comporti ricompense nell'Altra Vita. La base dello shahīd può essere rintracciata nelle parole di Maometto prima della battaglia di Badr, quando disse:
« Giuro in Colui che tiene tra le mani l'anima di Maometto che Allah farà entrare in Paradiso chiunque oggi li [i nemici] combatterà e sarà ucciso soffrendo nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, avanzando e non indietreggiando. »
(Maometto)
Ci sono alcuni religiosi musulmani che autorizzano operazioni di martirio come forma valida di jihād, specialmente contro Israele, i suoi alleati e i suoi sostenitori, in quanto credono che questi attacchi siano risposte legittime all'occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza [5].
Eppure l'illiceità di operazioni di bombe-suicide è suggerita dal seguente hadith:
« Chiunque deliberatamente si getti da una montagna uccidendosi, starà nel Fuoco (nell'Inferno islamico), eternamente cascandovi dentro e rimanendovi in perpetuo; e chiunque beva veleno per uccidersi lo porterà con sé e lo berrà nel Fuoco, dove rimarrà per sempre; e chiunque si uccida col ferro porterà con sé quell'arma e con essa si pugnalerà l'addome nel Fuoco dove rimarrà in eterno. »
(Bukharī (7:670))
Le organizzazioni militanti islamiste non costituiscono uno Stato autonomo o una autorità di fatto; nondimeno esse considerano i bersagli economici come obiettivi militari, citando come prova le numerose incursioni carovaniere (vedi la Battaglia di Badr per una descrizione di tale incursione, e della guerra cui condusse). Resta il fatto, comunque, che la tradizione islamica più antica proibisce espressamente di attaccare donne, bambini, anziani ed edifici civili nel corso di una campagna militare. Il Corano, l'indiscutibile fonte di autorità nell'Islam, denuncia con veemenza l'uccisione di innocenti:
« Chiunque uccida una persona - a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla terra - sarà come se uccidesse l'intera umanità; e chiunque salvi una vita, sarà come se avrà salvato la vita di tutta l'umanità. »
(Corano (5:32))
Pertanto, in base a questo verso del Corano, se un essere umano non ha
ucciso un'altra persona;
creato conflitto o disordine nel mondo;
ne consegue che quell'essere umano è innocente. Ucciderlo sarebbe l'equivalente di un massacro dell'intera razza umana, un delitto inconcepibilmente barbaro e un peccato enorme. Per la maggior parte dei musulmani questo verso è decisamente abbastanza chiaro da togliere ogni dubbio o ambiguità sul rango morale degli attacchi contro civili.
Il trattamento dei prigionieri di guerra [modifica]
L'invasione militare dell'Iraq da parte degli USA nel 2003 ha suscitato episodi di violente rappresaglie da parte di partigiani musulmani, che hanno catturato e condannato a morte sospetti agenti nemici. La decapitazione di civili, anche di quelli che intrattenevano contatti con l'esercito statunitense, è stata unanimemente condannata perfino da gruppi militanti islamisti, nonostante la pratica fosse usuale contro i nemici musulmani del Califfato abbaside. Nel mondo musulmano, per esempio, l'omicidio di Nick Berg è stato fortemente condannato. Studiosi dell'Università-moschea di al-Azhar del Cairo hanno emesso una dichiarazione di condanna per l'atto [6], e così hanno fatto numerosi gruppi musulmani in Occidente, compreso il Consiglio delle relazioni americano-islamiche. Il partito islamista sciita libanese Hezbollah e il gruppo nazionalista palestinese Hamās hanno denunciato l'omicidio. Hezbollah ha emesso una dichiarazione in cui l'avvenimento è detto "atto orribile che fa un torto immenso all'Islam e ai musulmani da parte di un gruppo che finge falsamente di seguire i precetti della religione del perdono".
Anche capi religiosi conservatori e fondamentalisti iracheni hanno denunciato l'assassinio. Muthanna al-Dhārī, membro del Consiglio del "clero" musulmano, ha detto che
« ...l'atto rende un cattivo servizio alla nostra religione e alla nostra causa. Anche se si trattava di un militare, egli doveva essere trattato come un prigioniero che, in accordo con la Sharī'a (la legge islamica), non deve essere ucciso. »
(Muthanna al-Dhārī)
ʿIyād Sāmarrāʾī del "Partito Islamico" ha commentato
« Questo è assolutamente sbagliato. L'Islam invero proibisce l'uccisione o il maltrattamento dei prigionieri. »
('Iyād Sāmarrā'ī[3])
Come era pratica comune nel Medioevo, l'Islam in effetti considera i prigionieri di guerra un bottino. Quando Maometto e i suoi eserciti risultavano vittoriosi in battaglia, i prigionieri di guerra maschi o venivano restituiti alle tribù dietro riscatto, o scambiati con prigionieri di guerra musulmani, oppure venduti come schiavi, com'era costume dell'epoca. Anche le donne e i bambini catturati e fatti prigionieri correvano il rischio di cadere in schiavitù, benché la conversione all'Islam fosse una strada per ottenere la libertà.
Il trattamento di prigionieri di guerra ai tempi di Maometto in persona sembra fosse decisamente più umano di quello riservato dalle generazioni successive della dirigenza islamica. Dopo la Battaglia di Badr, alcuni prigionieri furono condannati a morte per i loro trascorsi delitti alla Mecca, ma ai restanti furono date le seguenti opzioni: o di convertirsi all'Islam e guadagnare così la libertà, o di pagare il riscatto e guadagnare la libertà, o di insegnare a leggere e a scrivere a 10 musulmani e guadagnare così la libertà. Anche l'orientalista William Muir, non propriamente amichevole verso l'Islam, ha scritto quanto segue:
« A seguito delle decisioni di Maometto, i cittadini di Medina e coloro tra i rifugiati che possedevano case ricevettero i prigionieri e li trattarono con molta considerazione. 'Siano benedetti gli uomini di Medina' disse uno dei prigionieri in epoca successiva, 'ci hanno fatto cavalcare mentre essi camminavano, ci hanno dato pane lievitato quando ce n'era poco, mentre loro si accontentavano di datteri. »
(William Muir)
Brani dal Corano sulla guerra [modifica]
Il Corano usa il termine "jihād" solo quattro volte, nessuna delle quali fa riferimento alla lotta armata. Come tale, l'uso della parola jihād in riferimento alla guerra canonica islamica, fu un'invenzione posteriore dei musulmani. Tuttavia, il concetto di guerra legale islamica non fu a sua volta una invenzione posteriore, e il Corano contiene passaggi che si riferiscono a specifici eventi storici e che possono chiarire la teoria e la pratica dalla lotta armata (qitāl) per i musulmani.
In questo senso è decisivo il passo 193 della Sura II, nel quale compare la parola "fitna" (arabo "prova"), che in arabo ha un significato molto ampio, che include sia la ribellione che il vizio, nei confronti di Allah e delle sue creature.
Il termine viene solitamente tradotto con "persecuzione" poiché è preceduto da una chiara espressione "scacciateli da dove vi hanno scacciati".
Dal testo coranico, però, non emerge chiaramente se il "jihād" sia finalizzato alla conversione e sottomissione dei non-credenti oppure a garantire la libertà di culto per i musulmani. A sostegno di questa interpretazione, troviamo la legge del contrappasso, l'invito a rispettare le tregue durante i mesi sacri, a desistere senza rappresaglia in caso di resa, e al fatto che tutti gli imperativi sono preceduti o seguiti da un riferimento alla persecuzione. Ecco di seguito alcuni esempi:
« Combatti per la causa di Dio chi ti combatte, ma non superare i limiti; poiché Dio non ama coloro che eccedono.
Uccideteli dovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell'omicidio. Ma non attaccateli vicino alla Santa Moschea, fino a che essi non vi abbiano aggredito. Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti.
Se però cessano, allora Allah è perdonatore, misericordioso.
Combatteteli finché non ci sia più persecuzione (Fitna, in arabo) e il culto sia [reso solo] ad Allah. Se desistono, non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevaricano.Mese sacro per mese sacro e per ogni cosa proibita un contrappasso. Aggredite colori che vi aggrediscono. Temete Allah e sappiate che Allah è con coloro che Lo temono. »
(Corano (2:190-194))
« Perché non dovreste combattere per la causa di Dio e di coloro che, deboli, sono maltrattati e oppressi?- Uomini, donne e bambini che urlano "O Signore, salvaci da questa città il cui popolo ci opprime; e innalza da te per noi qualcuno che ci proteggerà. E innalza da te per noi qualcuno che ci aiuterà. »
(Corano (4:76))
« Getta terrore nei nemici di Allah e nei vostri nemici. Ma se il nemico inclina alla pace, anche tu inclina alla pace, e abbi fede in Allah. Egli è Uno che ascolta e sa tutto. »
(Corano (8:60-61))
« Cosa! Non vuoi combattere un popolo che ha rotto i patti e mirato all'espulsione del Messaggero, e ti ha attaccato per primo; li temi? Ma Allah ha ben più diritto di essere temuto, se siete credenti combatteteli, e Allah li tormenterà per mano vostra, li ricoprirà di infamia. »
(Corano (9:13-14))
« E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: «Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Allah e dal Suo Messaggero». Allah è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo Messaggero...!. »
(Corano (8:12-13))
« Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso. E se qualche associatore ti chiede asilo, concediglielo affinché possa ascoltare la Parola di Allah, e poi rimandalo in sicurezza. Ciò in quanto è gente che non conosce!. »
(Corano (9:5-6))
« Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati... »
(Corano (9:29))
« Non uccidete l’uomo che il Dio vi ha proibito di ammazzare, a meno che ci sia una ragione valida. »
(Corano (17:33))
« Il permesso (di combattere) è dato a coloro ai quali la guerra è fatta perché sono oppressi ... coloro i quali sono stati cacciati dalle loro case senza un motivo diverso da quello di aver detto: il nostro Signore è Allah. »
(Corano (22:39-40))
« O Profeta, ti abbiamo reso lecite le spose alle quali hai versato il dono nuziale, le schiave che possiedi che Allah ti ha dato dal bottino. Le figlie del tuo zio paterno e le figlie delle tue zie paterne, le figlie del tuo zio materno e le figlie delle tue zie materne che sono emigrate con te e ogni donna credente che si offre al Profeta, a condizione che il Profeta voglia sposarla. Questo è un privilegio che ti è riservato, che non riguarda gli altri credenti. Ben sappiamo quello che abbiamo imposto loro a proposito delle loro spose e delle schiave che possiedono, così che non ci sia imbarazzo alcuno per te. Allah è perdonatore, misericordioso... »
(Corano (33:50))
« Quando [in combattimento] incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati, poi legateli strettamente. In seguito liberateli gratuitamente o in cambio di un riscatto, finché la guerra non abbia fine. Questo è [l'ordine di Allah]. Se Allah avesse voluto, li avrebbe sconfitti, ma ha voluto mettervi alla prova, gli uni contro gli altri. E farà sì che non vadano perdute le opere di coloro che saranno stati uccisi sulla via di Allah. »
(Corano (47:4))
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